Forum Congiunto ANMCO-ECAH (European Council on Arterial Hypertension): hot point su ipertensione arteriosa

Emilia Biscottini
Quesiti ancora aperti nell’ambito dell’ipertensione arteriosa, una patologia ad enorme impatto sociale che ci impone uno sforzo continuo per ottimizzarne diagnosi e trattamento

“Chi si ferma è perduto”, titolava un vecchio film con Totò. E non possiamo di certo fermarci nella sfida all’ottimizzazione della diagnosi e del trattamento di una patologia ad enorme impatto sociale come l’ipertensione arteriosa. È questo lo spirito con cui ANMCO ha voluto proporre un Forum Congiunto con l’European Council on Arterial Hypertension, svoltosi il 6 giugno e che, grazie all’intervento di relatori italiani ed internazionali di alto livello, ha toccato gli “hot point” su un tema sempre attuale. Le Linee Guida ESC per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, uscite nel 2013, hanno portato all’attenzione della comunità cardiologica e non alcuni nuovi aspetti, tra cui la definizione di nuovi target di pressione arteriosa meno rigidi (< 140/90 mmHg) rispetto al passato. Il Dottor Gian Francesco Mureddu (Roma), con il cui intervento si è aperta la sessione, ne ha evidenziato i punti di forza e le carenze: da un lato l’importanza riconosciuta dell’individuare il danno d’organo legato alla patologia nella sua fase più precoce, ancora asintomatica, e dall’altro la necessità di identificare meglio i sottogruppi di pazienti ipertesi che potrebbero giovarsi di un trattamento più aggressivo, sulla base della stima del loro rischio cardiovascolare. Il Professor Thomas Kahan, del Karolinska Institutet di Stoccolma, ha poi parlato di come sia fondamentale ricercare e monitorare l’andamento dell’ipertrofia ventricolare sinistra in considerazione della sua stretta correlazione con la mortalità, il rischio di scompenso cardiaco e stroke. Nello studio dei pattern di geometria del ventricolo sinistro è stato visto che la prognosi peggiore si correla con l’ipertrofia concentrica, ma che una sua regressione può ridurre le ospedalizzazioni future. Il Dottor Paolo Verdecchia (Assisi) continua a studiare e ottenere utili risultati con una metodica facilmente eseguibile e a basso costo come l’elettrocardiografia e ci ha proposto il Perugia Score semplificato (strain tipico Vsin, R in Avl + S in V3 > 2.0 mV nelle donne e > 2.4 mV nell’uomo) come metodo ad alta sensibilità e specificità per individuare l’ipertrofia ventricolare sinistra; persino nella sua forma corretta per BMI utile nei soggetti obesi. Il punto ostico, su cui c’è senza dubbio ancora molto da fare, è stato infine l’argomento trattato dal Professor Bryan Williams, Direttore dell’Institute of Cardiovascular Science dell’University College di Londra: l’ipertensione arteriosa resistente. Molto abbiamo da imparare a riguardo: quanti di noi ne conoscono la precisa definizione (persistenza di valori pressori >140/90 mmHg nonostante adeguato stile di vita e 3 diversi farmaci antipertensivi, tra cui un diuretico, a dosi adeguate) e sono in grado di distinguerla dalle forme di “pseudo-ipertensione resistente”? Quest’ultima è dovuta a cause potenzialmente rimovibili quali la scarsa compliance del paziente, la cosiddetta ipertensione da “camice bianco”, l’utilizzo di dosaggi o associazioni farmacologiche non appropriate, ed è quindi evidente come possa essere eliminata solo grazie ad un continuo sforzo verso l’ottimizzazione. “Look and look again” è l’insegnamento che ci ha lasciato il Professore: dobbiamo essere instancabili nella ricerca dei potenziali errori nostri e del nostro paziente nel trattamento dell’ipertensione arteriosa e pensare che fare bene in questo ambito, già nelle sue fasi precoci, significa ridurre eventi futuri, ridurre i costi e aumentare la salute di tutti (non ci dimentichiamo che anche molti di noi sono destinati a diventare ipertesi…).