GLI SCORE PROGNOSTICI NELLO SCOMPENSO CARDIACO: SONO UTILI O SOLO MODA?

Alessandra Pratesi

Andando per congressi di cardiologia sono incappata in molteplici presentazioni di score prognostici dello scompenso cardiaco… di varia qualità. Questo significa che è una necessità clinica, ma anche che per ora non ci sono state esaustive risposte. Che questa mattina finalmente ne sia stata data qualcuna?

Viviamo in un mondo di Evidence Based Medicine, di protocolli ospedalieri, di linee di indirizzo regionali, linee guida nazionali, europee, mondiali… insomma, viviamo in un mondo in cui non sembra esserci più molto spazio per il “buon vecchio” senso clinico. E il motivo è che questo non è sufficiente a gestire i pazienti sempre più anziani e complessi, a tenere a mente tutti gli aspetti clinici delle sempre più note e intricate patologie, a prevedere quale prognosi possa gravare su un malato. Di qui nasce l’esigenza di costruire degli score diagnostici, clinici, prognostici. E una delle maggiori aree di sviluppo di questi punteggi è lo scompenso cardiaco, dove ne sono stati creati di molti che, in tutta onestà, hanno per lo più fallito nella pratica clinica. Come ha sottolineato il Dott. Ammirati, nello scompenso risulta difficile ottimizzare e personalizzare il trattamento e identificare il timing corretto degli interventi terapeutici. Quindi abbiamo reale bisogno di stratificare il rischio dei nostri pazienti.
Ma come deve essere uno score? Semplice, rapido, ripetibile, di qualità e preciso.
Nella sessione odierna ne sono stati presentati alcuni tra i più validi. Uno di questi è il Cardiac and Comordid Conditions heart failure score (3C score), validato in 24 centri nel mondo, che divide i pazienti tenendo conto di semplici variabili (non solo cardiologiche) in 3 gruppi di rischio: pazienti a basso rischio, in cui è sufficiente un normale follow up; a rischio intermedio, che invece necessitano di un monitoraggio più intensivo e multidisciplinare; ad alto rischio, ai quali non possiamo che assicurare adeguate cure palliative. Questo secondo la mia opinione è lo score più interessante tra quelli presentati, perché è semplice e pone l’attenzione sulla complessità del paziente scompensato, che non ha solo un cuore, ma molti altri organi che collaborano (o no) nel mantenere il compenso emodinamico.
Gli altri score presentati sono più di pertinenza specialistica, sicuramente validi, ma forse non così tanto fruibili: il noto MECKI score include alcuni parametri registrati durante test cardiopolmonare (VO2 di picco, VE/VCO2 slope) che tutti noi sappiamo essere fondamentale nella gestione clinica del paziente cardiopatico, ma che purtroppo non è strumento facilmente accessibile a tutte le realtà mediche italiane.
Interessante anche l’Echo HF Score, una combinazione di 5 parametri ecocardiografici (ESVI >84 mL/m2, LAVI >45 mL/m2, TAPSE 45 mmHg) misurati durante Eco-Doppler in pazienti con SC cronico. Come conclude il Collega Dott. Carluccio “esso non rappresenta un’alternativa a consolidati e validati score clinici, piuttosto un’integrazione dell’informazione clinica potenzialmente in grado di migliorare la capacità predittiva”.
Un accenno è stato fatto anche al meritevole ADHF/proBNP score da applicare in setting ospedaliero in pazienti con scompenso cardiaco acuto, per predirne la mortalità ad un anno. Di fronte a tali interessanti proposte, non resta che utilizzarle nella quotidianità clinica per confermarne l’efficacia.

 


SIMPOSIO VAD THERAPY

di Maria Grazia D’Alfonso

What Have We Learned and What Will We Learn?

Dal Liotta Heart, primo cuore artificiale impiantato nell’uomo come bridge al trapianto presso il Texas Heart Institute, sono passati più di 40 anni e la crescente evoluzione scientifica in questo senso ci ha portato ai giorni nostri a contemplare nell’attuale bagaglio terapeutico i VAD (Ventricular Assist Device). In particolare abbiamo imparato a familiarizzare con termini come Heart Mate II, HeartWare (entrambi approvati dalla FDA), Jarvik 2000, ecc. Ma soprattutto dobbiamo imparare a familiarizzare con tutto il corollario clinico, gestionale, strumentale che gira intorno a tali device.
Ancora poco conosciuta è la realtà dei VAD, per quanto già di fatto abbastanza diffusa. Per tali ragioni anche quest’anno l’ANMCO, sempre al passo coi tempi, ha offerto un intero simposio ai VAD, o meglio alla VAD Therapy, proprio a sottolineare l’applicazione pragmatica del device, non più solo di interesse speculativo e teoricamente scientifico.
Le esaustive e interessanti relazioni hanno aperto una costruttiva discussione che ha lasciato molto soddisfatta la numerosa platea. Molti sono stati i messaggi trasferiti e gli spunti di riflessione. In particolare, alla luce dei dati del Registro INTERMACS, sembra esserci una maggior fiducia nel considerare i VAD non soltanto in termini di ultima ratio, ma anche e soprattutto in termini di destination therapy o bridge to transplant. In quest’ultimo caso, il miglioramento della performance cardiovascolare dovuto alla presenza di LVAD fornirebbe al paziente uno stato funzionale più valido per affrontare il trapianto cardiaco; non solo ma il rischio di mortalità pari al 10% al mese dei pazienti in lista d’attesa per trapianto si riduce notevolmente nei pazienti portatori di LVAD. Quali debbano essere le “indicazioni” all’impianto di VAD e quale il destino dei pazienti impiantati è tutto da definire nella pratica clinica, “paziente per paziente” come ha sottolineato la Dott.ssa Frigerio.
Sempre nella valutazione “on the road” è di fondamentale importanza conoscere le misure elementari per la gestione del paziente portatore di device, in particolare in relazione alle complicanze: in primis i sanguinamenti prevalentemente gastrointestinali, che hanno un notevole impatto sull’outcome, e che sono legati alla terapia anticoagulante, allo sviluppo della malattia di von Willebrand acquisita e anche alle alterazioni del circolo connesse alla presenza di un flusso ematico continuo. E ancora l’insufficienza cardiaca destra, la trombosi del dispositivo, le infezioni, l’insufficienza aortica, le aritmie ventricolari, ecc.
Alla luce di tutti questi elementi, come proposto dal Dott. Marinelli, sarebbe importante tessere in termini formali e pratici una vera e propria RETE Nazionale LVAD, che da un lato fornisca un supporto nella valutazione iniziale del paziente candidato a impianto di VAD, attraverso percorsi stabiliti e dall’altro garantisca una gestione condivisa e appropriata del paziente portatore.
La conoscenza delle controindicazioni assolute e relative ha rappresentato l’altro elemento portante del simposio. L’età, soprattutto se superiore ai 70 anni può rappresentare un fattore prognostico non favorevole, non in maniera indipendente, ma se associata ad un elevato carico di comorbidità, e soprattutto se associata a una bassa classe INTERMACS. La valutazione fondamentale che l’Heart Team deve affrontare al momento dell’impianto, infatti, trova la sua chiave di volta nella Classe INTERMACS: è ormai noto, infatti, che l’outcome peggiore è riservato ai pazienti che ricevono un device di assistenza in condizioni di classe INTERMACS 1 (che corrisponde al critical cardiogenic shock, “crashing and burning”). Come ha ricordato il Prof. Rinaldi altri fattori vanno considerati: dall’insufficienza ventricolare destra, alla MOF.
Cosa ci riserva il futuro? Dalle previsioni futuristiche del Prof. Livi lo scenario sarà popolato da dispositivi sempre più miniaturizzati ed evoluti tecnologicamente, caratterizzati da impianti intracardiaci, levitazione magnetica, ricarica delle batterie via wireless e posizionamenti percutanei.
Insomma un mondo tutto nuovo, tutto da costruire e sperimentare che è molto più vicino di quello che possiamo immaginare!

 


DALLE LINEE GUIDA AL MONDO REALE: PIÙ CHE GRANDI TRIAL!

di Annamaria Iorio

Apre la sessione il Dott. Gerardo Ansalone con una paronimica delle indicazioni e grandi trial per quanto riguarda le indicazioni a CRT! Attraverso questa panoramica il dato certo è che il criterio di blocco di branca sinistro con durata del QRS > 150 msec sia il criterio che identifica i pazienti che maggiormente beneficiano del trattamento con CRT, mentre una durata del QRS inferiore a 120 msec identifica pazienti che non traggono beneficio! Quest’ultimo dato viene confermato dagli ultimi trial che hanno arruolato pazienti con QRS < 120 msec, mostrando un outcome peggiore in termini di mortalità eventi aritmici. Quali aiuti otteniamo dall’ecocardiogramma? Anche in questo senso ci viene fornito attualmente poco aiuto. Gli ultimi trial dove venivano arruolati pazienti con QRS < 130 msec (EchoCRT Trial) ed evidenza di dissincronia all’ecocardiogramma non mostravano, malgrado i criteri di dissincronia ecocardiografici, nessun beneficio dalla terapia con CRT! Un fallimento dell’ecocardiogramma o dei metodi utilizzati per la valutazione della dissincronia? Il Dott. Gerardo Ansalone mostra come criteri diversi (valutazione di dissincronia longitudinale vs radiale) sono stati la metodologia utilizzata in questo trial con ovvie ripercussioni sui risultati. Anche in questo caso lo studio è stato interrotto precocemente per eccesso di mortalità totale e cardiovascolare. Dato interessante commentato è stata la maggiore incidenza di shock nei pazienti con CRT- on rispetto  a quelli CRT – off. Inoltre, un numero significativamente maggiore di pazienti CRT – on riceveva shock inappropriati. Segue il Dott. G. B. Magenta che ha presentato aderenza alla terapia con CRT nel suo centro con dati che mostrano aderenza alle linee guida. In termini di FC dai grandi Trial invece vengono fornite informazioni univoche sul un valore predittivo indipendente di mortalità ma l’FC è un fattore causale e di rischio con significato prognostico indipendente? I trattamenti correnti per ridurre la FC (beta-bloccanti, digitale, ca-antagonisti non idropiridinici, training fisico) hanno molteplici effetti addizionali pertanto è difficile isolare il peso della sola FC come un fattore predittivo indipendente. Pochi dubbi che una FC persistentemente elevata (>75/min) sia un elemento aggravante la prognosi dello SC e i dati derivanti dall’effetto dell’ivabradina lo confermano. Chiude la sessione il Dott. Adriano Murrone mostrando attraverso i grandi trial dei Betabloccanti, quanta distanza esiste tra la realtà clinica e il mondo ideale dei grandi trial e poco vengono raggiunti i target dei grandi trial!