Il “vecchio” ECG, ancora protagonista nel teatro delle sindromi coronariche acute

Laura Garatti

Si è svolto nel Village di Levante il Focus sull’elettrocardiogramma nelle sindromi coronariche acute. La piacevole sorpresa di trovare la sala completamente riempita da pubblico, dopo più di 100 anni dalla scoperta dell’elettrocardiografia, testimonia come questa metodica abbia ancora molto da dirci, tanto più nell’ambito della diagnosi della cardiopatia ischemica acuta. Per citare il Professor Claudio Rapezzi, che con la sua relazione ha tenuto estremamente vivo l’interesse della platea, viviamo nell’era della PTCA primaria, che porta con sé complessi sistemi di organizzazione ospedaliera e sul territorio, tecnologie avanzate, grandi ospedali metropolitani, modernissime sale di emodinamica… a sorreggere tutto ciò, questa rete che si pone l’obiettivo della rapidità e dell’efficienza, c’è proprio la lettura dell’elettrocardiogramma. Sono stati toccati diversi temi, dalla diagnosi di sede della lesione colpevole, al problema dei falsi positivi e negativi, alle possibili diagnosi differenziali, fino ad arrivare ai casi più difficili come quello della diagnosi di STEMI nei pazienti con blocco di branca sinistra o stimolazione ventricolare destra. Passando attraverso la presentazione di studi e casi clinici, i relatori hanno focalizzato l’attenzione del pubblico sul ruolo fondamentale che l’elettrocardiogramma riveste, ancora oggi, nella diagnosi precoce di infarto miocardico in generale e, più in particolare, nella rapida identificazione dei pazienti ad altissimo rischio, soprattutto in ambito pre-ospedaliero per la scelta precoce della strategia riperfusiva. Assolvere a questi compiti non è sempre facile, sono frequenti le insidie legate alle possibili diagnosi differenziali ed a condizioni particolari come la stimolazione ventricolare destra, ma risulta fondamentale, in una costellazione di sempre nuove tecnologie, non perdere di vista ed anzi continuare a coltivare la “cultura dell’elettrocardiogramma”, primum movens che può innescare iter diagnostici più complessi e, ancor più importante, cambiare drasticamente la prognosi dei nostri pazienti.