IPERTENSIONE ARTERIOSA: DALLA DIETA IPOSODICA ALLE STRATEGIE INVASIVE

Alessandra Pratesi

A distanza di un anno dall’uscita delle nuove Linee Guida sulla Ipertensione Arteriosa della Società Europea di Cardiologia, facciamo un punto sulla gestione di questa patologia in ogni suo aspetto, da quello diagnostico a quello terapeutico, dalla rivalutazione dei consueti interventi alle aspettative sui nuovi metodi invasivi

Man mano che avanzano le conoscenze in ambito medico, è normale approfondire determinati aspetti delle patologie, metterne in luce di nuovi e talora arrivare a  ridiscutere persino le più solide certezze. Questo avviene anche nell’ambito dell’Ipertensione arteriosa, dove, ad esempio, l’approccio terapeutico “aggressivo” è stato rivalutato nel paziente anziano nelle più recenti Linee Guida della Società Europea di Cardiologia. È anche vero che negli ultimi anni non abbiamo disposto di entusiasmanti novità in ambito farmacologico per il trattamento della ipertensione arteriosa. E anche in alternativa ad esso, luci alterne sono puntate sulle metodiche invasive per il trattamento dell’ipertensione resistente, come la stimolazione del seno carotideo e la denervazione renale, nei confronti delle quali vengono mossi dubbi per efficacia e sicurezza, e che quindi stentano ad entrare nella pratica clinica. Nei nostri ambulatori cerchiamo di utilizzare le associazioni che risultano più efficaci, in modo da ridurre il numero di farmaci da assumere (e quindi da aumentare la compliance del paziente) e di potenziare gli effetti delle singole molecole. Inoltre, nell’approccio al paziente, occorre tenere a mente tutte le conoscenze a nostra disposizione: ciò significa saper individuare i pazienti a rischio di sviluppare ipertensione arteriosa, impegnarsi nella prevenzione primaria, saper fare diagnosi precoce (e corretta) e capire quando e in che modo intervenire. Una volta instauratasi la patologia, dobbiamo sapere quali sono per ogni paziente i goal terapeutici e i farmaci più adeguati, e cercare di prevenire il danno d’organo secondario all’ipertensione, o di trattarlo se già presente. È quindi chiaro che la gestione efficace della patologia ipertensiva, con tutte le sue implicazioni, è estremamente complessa e altrettanto necessaria.
Gli strumenti ad oggi a nostra disposizione sono comunque molti, ma non sempre utilizzati in maniera corretta. Un gruppo di esperti ci guiderà nell’intricato mondo dell’ipertensione arteriosa, essenziale e secondaria, ponendoci di fronte non solo le problematiche attuali, ma anche le soluzioni disponibili e quelle in fase di sviluppo.

 


 

LA CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA E LA VALUTAZIONE DELLA SINTOMATOLOGIA ANGINOSA

di Riccardo Barucci

 

La malattia coronarica è una delle patologie a più alta prevalenza nel mondo. Gli obiettivi del trattamento dell’angina cronica stabile includono il rallentamento della progressione della malattia, la riduzione della mortalità ed il miglioramento della sintomatologia anginosa. Il trattamento della cardiopatia ischemica cronica si può dividere in terapia medica e rivascolarizzazione per via percutanea o chirurgica.

La malattia coronarica è una delle patologie a più alta prevalenza nel mondo e l’angina cronica stabile è una delle sue presentazioni cliniche più frequenti. Il meccanismo patogenetico usuale è rappresentato dalla presenza della placca aterosclerotica, che riduce il lume coronarico e da una causa scatenante che determina l’aumento del consumo miocardico di ossigeno. Il termine di angina stabile o angina cronica definisce una sindrome morbosa caratterizzata da attacchi di ischemia miocardica acuta transitoria riproducibili e stabili nel tempo, generalmente associati a sforzo fisico a soglia prevedibile. Il dolore toracico causato da ischemia miocardica viene descritto classicamente come sensazione di pesantezza, di morsa al torace, soffocante. La localizzazione è tipicamente retrosternale e il dolore si può irradiare al collo, all’epigastrio o agli arti superiori. La nitroglicerina sublinguale fa generalmente passare il dolore toracico entro pochi minuti. La severità del dolore è estremamente variabile e non è correlata alla patologia coronarica sottostante. Per quantizzare il grado di severità viene utilizzata la scala della Canadian Cardiovascular Society (CCS) che attribuisce quattro classi di gravità crescente (classe I: nessun sintomo; Classe IV: angina a riposo).  Gli obiettivi del trattamento dell’angina cronica stabile includono il rallentamento della progressione della malattia, la riduzione della mortalità ed in particolare il miglioramento della sintomatologia. In molti casi la valutazione della sintomatologia residua, susseguente a terapia farmacologica e/o rivascolarizzazione miocardica, è complessa e può indurre ad una sottostima dell’angina o degli equivalenti anginosi. Per questo motivo è stato sviluppato con il patrocinio dell’ANMCO un questionario chiamato CardioTest con lo scopo di consentire un primo screening di pazienti che afferiscono in ambulatorio cardiologico e di medicina generale. È composto da quattro semplici domande standardizzate riguardanti le caratteristiche della sintomatologia anginosa, la frequenza degli attacchi e l’eventuale assunzione di nitroderivati. Un punteggio maggiore o uguale a tre indica che la sintomatologia non è controllata in modo ottimale e quindi necessita una rivalutazione cardiologica sia clinica che eventualmente mediante test provocativi.
Secondo le ultime linee guida internazionali il trattamento della cardiopatia ischemica cronica si può dividere in terapia medica e  rivascolarizzazione per via percutanea o chirurgica. La terapia medica si avvale dell’utilizzo, come farmaci di prima linea, dei beta bloccanti, seguiti, se i sintomi non sono controllati, da calcio-antagonisti, nitrati a lunga emivita ranolazina ed ivabradina.
Sia le linee guida ESC del 2006 che quelle del 2013 affermano che la rivascolarizzazione è indicata prevalentemente in pazienti con angina refrattaria alla terapia medica ottimale quindi ad elevato rischio cardiovascolare, sintomatici o paucisintomatici con ischemia documentabile. La decisione si deve basare su numerosi fattori tra cui l’anatomia coronarica, l’estensione dell’ischemia e il beneficio atteso per il paziente su i sintomi e sulla prognosi. Data la complessità dei fattori in gioco e l’eterogeneità delle condizioni le ultime linee guida consigliano di intraprendere un processo decisionale che coinvolga specialisti tra cui  il cardiologo, l’emodinamista interventista e il cardiochirurgo (Heart Team).