La TAVI del 2018: quali le novità e le criticità?

Giovanna Di Giannuario

L’impianto transcatetere della valvola aortica (TAVI) è una procedura gravata da minor mortalità e morbilità rispetto alla sostituzione valvolare aortica chirurgica. Le linee guida europee identificano come indicazioni alla TAVI l’età maggiore di 75 anni in presenza di fattori di rischio quali la BPCO severa, la disfunzione sistolica severa, un pregresso stroke, il deterioramento cognitivo e tutte quelle condizioni che rendono l’anziano fragile e ad alto rischio per l’intervento chirurgico. I pazienti affetti da stenosi valvolare aortica severa e sintomatici per dispnea e angina spesso, posti di fronte alle due opzioni terapeutiche, TAVI verso sostituzione valvolare chirurgica, preferiscono un atteggiamento terapeutico meno invasivo per via percutanea rispetto ad un intervento a torace aperto. Nel corso del Focus si è discusso il problema della durata e del rischio trombotico delle TAVI. Quello che è emerso è che la valutazione della durata delle protesi transcatetere è difficile così come lo è per le bioprotesi impiantate per via chirurgica e dipende da diversi fattori fra cui anche il tipo di bioprotesi. Attualmente il follow-up delle TAVI nei diversi studi è a 5 anni e mostra la stessa durabilità delle bioprotesi chirurgiche, tuttavia tale osservazione è troppo breve per considerarle ugualmente durature nel tempo e si attendono i risultati dei follow-up a 10 anni. In tema di valutazione della disfunzione protesica, un recente position paper della Società Europea ha cercato di mettere un po’ di chiarezza nella definizione, suddividendo le alterazioni delle bioprotesi in 4 gruppi: 1) deterioramento strutturale, 2) deterioramento non strutturale, 3) trombosi, 4) endocardite. Il problema emergente per le bioprotesi impiantate per via percutanea è la progressiva ridotta mobilità delle cuspidi che può favorire fenomeni di trombosi e di ischemia cerebrale, aumentando così notevolmente il rischio di tali eventi in pazienti che sono già a rischio di cardio-embolismo sistemico e cerebrale per episodi di FA in CHAD vasc2 score elevati (>5). In tale ambito, se da un lato è noto ed indubitabile che i pazienti in FA debbano essere sottoposti a terapia anticoagulante a tempo indeterminato, al momento non è chiaro nè vi sono indicazioni su quale sia la migliore terapia anticoagulante/antiaggregante e sulla durata della stessa nei pazienti ad alto rischio trombotico sottoposti a TAVI ma ancora in RS. Gli studi clinici in corso stanno confrontando una strategia con doppia antiaggregazione per 3-6 mesi seguita poi dalla assunzione di aspirina a tempo indeterminato, verso una terapia con anticoagulante o NOAC in associazione ad un antiaggregante per alcuni mesi seguita poi dalla sospensione di uno dei due farmaci, anticoagulante o antiaggregante, in base al rischio emorragico del paziente. Di fatto attualmente non si hanno evidenze per ritenere un regime terapeutico migliore o più efficace dell’altro quindi l’unica reale strada praticabile è un approccio terapeutico individualizzato sulla base della valutazione del rischio trombotico ed emorragico.