La terapia cardiovascolare nel grande anziano

Sonia Lo Iacono

La popolazione invecchia sempre più e si stima che nel 2050 il 20% della popolazione sarà over 65, ma nonostante questo la maggior parte degli studi clinici sullo scompenso ha escluso pazienti con età maggiore di 85 anni e l’implementazione delle linee guida, che è di solito bassa in tutta la popolazione, lo è soprattutto nel grande anziano. Gli obiettivi da perseguire in questa fascia di età sono peculiari rispetto ai pazienti più giovani: va modulata sia la terapia anti-ipertensiva che bradicardizzante in maniera più prudente poiché l’estrema bradicardia e l’ipotensione ne compromettono la perfusione cerebrale e la terapia diuretica va calibrata con lo stato di idratazione per preservare la funzionalità renale. Nella popolazione anziana bisogna distinguere quanto la fragilità dipenda dallo scompenso cardiaco e quanto dipenda dalle caratteristiche intrinseche del paziente quali comorbidità, invecchiamento e fattori sociali e nei pazienti con scompenso terminale va valutata anche la palliazione. Il registro Open Heart 2014 ha mostrato un incremento della strategia invasiva nei pazienti anziani con sindrome coronarica acuta, di fatto nella pratica clinica è necessario fare un distinguo tra età biologica ed età cronologica, bisogna individualizzare la terapia considerando l’individuo nella sua interezza dal punto di vista fisico, mentale e sociale. Per quanto concerne la terapia farmacologica bisogna tenere in considerazione che la politerapia genera moltissime interazioni farmacologiche soprattutto negli anziani e che si associa ad un peggioramento della aderenza e della tolleranza alla terapia pertanto, se è corretto trattare farmacologicamente fattori di rischio come la dislipidemia e il diabete, di fatto non sembra conveniente avere un atteggiamento estremamente aggressivo. In ambito di fibrillazione atriale i risultati degli studi confermano la sicurezza e l’efficacia dei NAO anche nella popolazione dei grandi anziani. Negli ultimi anni in Italia vi è stato un incremento di impianti di ICD e PM negli over 80 (più 20%) con sopravvivenza mediana superiore ai 5 anni in presenza di normale funzione renale. Le complicanze sono analoghe alle altre fasce di età anche se minore è la percentuale di interventi inappropriati in caso di impianto di ICD.