Omega-3 per pranzo

Laura Garatti

Vi è da sempre grande interesse nei confronti del tema della prevenzione del rischio cardiovascolare, come ha testimoniato l’ampia partecipazione al luncheon panel “Update sui PUFA-N3: la solidità delle evidenze scientifiche internazionali”. Il simposio ha cercato di fare un po’ di luce sulle ombre che, negli anni, hanno caratterizzato il trattamento con acidi grassi polinsaturi, protagonisti di numerosi trial e studi osservazionali con risultati estremamente altalenanti. I relatori, moderati dal Dottor Aldo Pietro Maggioni e dal “padrone di casa” Domenico Gabrielli, hanno sviscerato con chiarezza e precisione i dati di efficacia di questo trattamento. Quello che emerge è un’estrema eterogeneità di risultati, con diversi studi che hanno evidenziato una riduzione della mortalità e degli eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con Omega-3, contraddetti da altri lavori che non hanno dimostrato un beneficio significativo. Quali sono le ragioni del disaccordo delle evidenze internazionali su questo tema? In primo luogo, come è emerso dalle relazioni, vi è il problema dell’eterogeneità delle popolazioni coinvolte nei trial. Tale limitazione riguarda soprattutto il setting della prevenzione primaria, ambito nel quale è più discussa l’applicazione di questo trattamento. La chiave di lettura di questi dati altalenanti, probabilmente, sta proprio nella necessità di individuare una popolazione target, con maggiori probabilità di trarre beneficio dalla terapia con Omega-3.
Più solide sono le evidenze di efficacia in prevenzione secondaria dopo sindrome coronarica acuta, ambito in cui le stesse Linee Guida raccomandano l’utilizzo della terapia con PUFA pur in presenza di risultati contrastanti. In tale contesto, non bisogna dimenticare come i diversi meccanismi d’azione coinvolti nei plurimi effetti dei PUFA presentino diversi profili di dose e tempo-dipendenza.
Infine, grande attenzione è stata dedicata al problema di prescrivibilità e rimborsabilità da parte del SSN di questi farmaci, che negli ultimi anni sono stati vittima di una regolamentazione piuttosto restrittiva. Tra gli obiettivi dell’ANMCO, come illustrato dal Dottor Furio Colivicchi, vi è quello di porre l’attenzione dell’AIFA su questo limite, che si scontra con la necessità di ridurre ulteriormente il rischio cardiovascolare primario ed il rischio residuo dopo un evento acuto. È stato fatto molto, ma i numeri ci chiedono di fare di più; per questo è importante una sensibilizzazione a tutti i livelli, a partire dagli stessi Cardiologi che negli ultimi anni, spinti a tenere il colesterolo LDL e la terapia con statine al centro di tutti gli sforzi diretti verso la prevenzione, hanno forse un po’ dimenticato il ruolo potenzialmente fondamentale di altre strategie.