RESINCRONIZZAZIONE CARDIACA NEL 2015. COSA C’È DI NUOVO?

Matteo Baroni
Innovazioni tecnologiche e conquiste cliniche per ottimizzare l’efficacia della CRT. A che punto siamo?

La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) permette grandi miglioramenti clinico-strumentali ai pazienti con cardiopatia ipocinetica e QRS largo. Ad oggi, però, tale metodologia è ancora gravata da un tasso non trascurabile di non responder. Quali sono le novità per affrontare il problema?

La terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) è un potente strumento nella lotta allo scompenso cardiaco, il cui utilizzo si è progressivamente diffuso nella pratica clinica degli ultimi anni. La riduzione della dissincronia inter – ed intraventricolare in pazienti con insufficienza cardiaca e QRS largo permette infatti di migliorare i sintomi e la prognosi a lungo termine tramite un miglioramento della funzione sistolica, l’ottimizzazione del riempimento diastolico e lo stimolo, sul medio-lungo periodo, al rimodellamento inverso del ventricolo sinistro. Tuttavia, ancora oggi, una percentuale non trascurabile di pazienti non mostra una risposta clinica e strumentale soddisfacente a distanza dall’impianto. Negli anni, il progressivo affinamento dei criteri di selezione dei malati da candidare a CRT ha permesso di ridurre la quantità non responder, che però rappresenta ancora una quota variabile fra il 30 e il 50% del totale, a seconda delle casistiche. Il simposio odierno dal titolo “Nuove tecnologie ed attualità in tema di CRT”, propone una revisione delle novità di ricerca e dei progressi tecnologici, con l’obiettivo di fare chiarezza sulle zone grigie ancora presenti. Ad esempio, una delle cause più frequenti d’insuccesso della CRT è l’inadeguato posizionamento dell’elettrodo epicardico per la stimolazione ventricolare sinistra che, per sua natura, deve dipendere dall’anatomia del sistema venoso cardiaco. Ad oggi sono disponibili cateteri più maneggevoli e sofisticati che permettono una certa libertà nella selezione del vaso target. Inoltre, nuove tecnologie come il Multi Point Pacing, permettono di aumentare le possibilità di stimolazione, a parità di sito di impianto. Ma qual è il peso reale di queste novità nella pratica clinica? Ci sono delle altre innovazioni all’orizzonte? Un altro tema “caldo” è l’ottimizzazione della soglia di pacing: è noto infatti che per essere realmente efficace, la CRT dovrebbe raggiungere percentuali di stimolazione biventricolare prossime al 100%. Nella pratica clinica però ciò è spesso arduo, sia per i pazienti in ritmo sinusale, che spesso tendono all’ipotensione con dosi troppo elevate di farmaci cronotropi negativi sia, a maggior ragione, per i pazienti in fibrillazione atriale, per i quali esiste la soluzione “limite” dell’ablate and pace, con tutti i rischi che ciò comporta. Esistono ad oggi delle strategie innovative sia farmacologiche che interventistiche per raggiungere un target di pacing adeguato e, soprattutto, mantenerlo nel tempo? Uno stretto follow-up dei pazienti, anche mediante sistemi di telemonitoraggio, è in grado di aiutarci? Un altro tema controverso, riguarda l’associazione fra CRT e defibrillatore. È infatti ormai risaputo che la CRT, quando efficace, è in grado di ridurre la mortalità cardiaca improvvisa per causa aritmica. Inoltre, il rimodellamento inverso del ventricolo sinistro può potenzialmente garantire il recupero contrattile ai pazienti candidabili ad ICD, portandoli oltre il “canonico” 35% di frazione di eiezione. Alla luce di questi dati, quando è possibile proporre l’impianto della sola CRT senza ICD, per ridurre il rischio di complicanze dell’impianto e di shock inappropriati? In quali situazioni invece non si può proprio fare a meno dell’ICD? Su questi ed altri temi è aperta la discussione, oggi alle ore 10.00 in sala Parini.