A DUE ANNI DALLO STUDIO PARADIGM-HF: QUALI NUOVE EVIDENZE E ORIENTAMENTI PER IL TRATTAMENTO DEL PAZIENTE CON INSUFFICIENZA CARDIACA

Danilo Puccio

Lo scompenso cardiaco (SC) rappresenta ancor oggi una delle patologie cardiovascolari a maggior prevalenza, si stima infatti che quest’ultima si attesti intorno all’1-2% della popolazione adulta nei paesi sviluppati e che raggiunga il 10% sopra i 70 anni di età. La dimensione del problema si comprende ancor meglio considerando anche i dati relativi alla mortalità, pari al 17% per i pazienti ospedalizzati e al 7% per i pazienti ambulatoriali stabili.

Grande interesse ha destato nel 2014 la pubblicazione del trial di fase III PARADIGM-HF, sia perché la terapia farmacologica ad impatto prognostico sullo SC da anni è rimasta incentrata essenzialmente sulla triade costituita dagli ACE inibitori (o i sartani in caso di intolleranza a questi), dai betabloccanti e dagli antialdosteronici, sia per gli “eclatanti risultati” ottenuti dal trial nel gruppo in trattamento attivo rispetto a quello trattato con l’enalapril, in termini di riduzione di mortalità cardiovascolare e di ospedalizzazione per SC nel paziente sintomatico a frazione di eiezione ridotta.

Grazie al PARADIGM-HF si è assistito alla transizione dal concetto di inibizione neurormonale a quello di modulazione neurormonale. A riprova del suo elevato beneficio clinico netto, il sacubitril/valsartan, inibitore capostipite del recettore AT1 dell’angiotensina II e della neprilisina (ARNI), è stato inserito nell’algoritmo terapeutico della release 2016 delle Linee Guida ESC sullo SC, della quale costituisce una delle novità più rilevanti. La forza dei risultati del PARADIGM-HF è stata ulteriormente confermata anche dalle analisi post-hoc, dove l’utilizzo dell’ARNI si è associato ad un significativo calo delle ri-ospedalizzazioni per ogni causa a 30 giorni, ad una riduzione del 38% delle ri-ospedalizzazioni per SC nel periodo vulnerabile, nonché l’avere influenzato favorevolmente la capacità funzionale e la qualità della vita. Gli effetti positivi del trattamento, inoltre, sembrano mantenersi anche con il dosaggio ridotto.

La disponibilità di terapie innovative con tali presupposti di efficacia ci spinge a riconsiderare la terapia anche nei pazienti stabili, poiché stabile non va erroneamente interpretato come a basso rischio ed i pazienti stabili di oggi sono il “reservoir” dei pazienti instabili di domani. Nel paziente con SC, come è noto, un ruolo cruciale viene ricoperto dall’ottimizzazione terapeutica e tanto più aderenti si è alle raccomandazioni delle Linee Guida, tanto più si riduce la mortalità.

Queste le tematiche affrontate in questo stimolante Simposio il cui panel d’eccezione ha permesso di apprendere, in maniera puntuale ed esaustiva, le più recenti evidenze in tema di insufficienza cardiaca.