Sindromi coronariche acute e fibrillazione atriale: le nuove evidenze nell’uso dei DOACs

Gianluigi Saponara

Il Dott. Giuseppe Musumeci, con la consueta chiarezza e competenza, nella sua bellissima lettura ha affrontato uno dei temi più attuali nella pratica clinica cardiologica, la terapia antitrombotica nei pazienti con sindrome coronarica acuta e fibrillazione atriale. La prevalenza della fibrillazione atriale nei pazienti con stent coronarici, dai vari registri epidemiologici, si attesta intorno al 10%; è altrettanto noto che il rischio di sanguinamento di una terapia anticoagulante add-on alla duplice terapia antiaggregante è molto elevato, soprattutto nei pazienti con una diatesi emorragica dettata dalle comorbidità, invariabilmente gli stessi sono i soggetti esposti a maggior rischio di eventi trombo-embolici. L’introduzione dei nuovi anticoagulanti orali ha segnato una rivoluzione, ancora in corso, nella gestione della duplice/triplice terapia antitrombotica in questi pazienti per il profilo di maneggevolezza e sicurezza; per tali ragioni non sorprende la netta superiorità nel ridurre il rischio di eventi emorragici maggiori con l’utilizzo di questi farmaci rispetto agli schemi terapeutici che contemplano l’uso del Warfarin.
Secondo la filosofia del “Less is more”, dei grandi trial hanno testato i nuovi anticoagulanti orali sia in duplice che triplice terapia (con ASA e/o Clopidogrel) versus la triplice terapia convenzionale con l’intento di dimostrare la maggiore sicurezza rispetto al Warfarin in questo setting.
Lo Studio PIONEER-AF, con più di 2.000 pazienti, ha confrontato tre tipologie di trattamento: il braccio di controllo con triplice terapia convenzionale (VKA, Clopidogrel, ASA), la duplice terapia con Rivaroxaban 15 mg e Clopidogrel 75 mg ed un terzo schema (non in uso nella pratica clinica) ASA+Clopidogrel+Rivaroxaban 2,5 mg; l’endpoint primario (riduzione dei sanguinamenti clinicamente rilevanti) è statisticamente significativo a favore dei bracci con Rivaroxaban, senza segnale sfavorevole per gli eventi ischemici.
Lo Studio RE-DUAL PCI, 3 bracci, il controllo con la triplice terapia convenzionale e 2 bracci con Dabigatran 110 mg o 150 mg + Clopidogrel, ha arruolato 2.500 pazienti, confermando una riduzione significativa dei sanguinamenti.
Lo Studio Augustus, 4.600 pazienti, sia elettivi che con ACS, presenta un disegno diverso, 4 bracci Apixaban+Clopidogrel versus VKA+Clopidogrel e ogni gruppo successivamente randomizzato ad aspirina versus placebo, anche in questo studio si è evidenziata una netta riduzione dei sanguinamenti, dimostrando, inoltre, che la dual therapy riduce i sanguinamenti rispetto alla triplice, ma non quelli severi. Apixaban, inoltre, rispetto a VKA riduce l’endpoint secondario (morte e ospedalizzazione) e già precocemente. Un altro dato interessante che emerge dall’analisi di questo studio è che la triplice terapia, rispetto a placebo (duplice), ha un trend a ridurre gli eventi infarti anche se non statisticamente significativo.
È attualmente in corso lo Studio Entrust con Edoxaban che prevede uno schema simile a RE-DUAL PCI e PIONEER-AF.
Il messaggio finale che il Dott. Musumeci ci trasferisce è il seguente: il Warfarin alla luce di tali dati non va usato, non è ancora dimostrato che la duplice terapia sia equivalente alla triplice terapia per cui è ragionevole seguire le linee guida europee, ovvero dual therapy solo per rischio emorragico proibitivo e secondo i risultati dell’Augustus optare per 1-3 mesi di triplice e poi duplice, personalizzando la scelta farmacologica caso per caso.