Updates in clinical cardiology

Danilo Puccio
Le 5 novità che i cardiologi DEVONO CONOSCERE sulla terapia dello Scompenso Cardiaco

Relatori di altissimo profilo culturale hanno presentato, nei lori interventi, le principali conoscenze e le novità riguardanti il trattamento farmacologico e non dello scompenso cardiaco, ben definiti dallo stesso Moderatore Dott. M. G. Cipriani come “gocce di sapienza”.

Ha aperto la sessione la relazione del Dott. F. Oliva con un excursus riguardante le progressive acquisizioni scientifiche che hanno portato alle attuali raccomandazioni delle linee guida europee sul trattamento dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (HFrEF). Si è partiti da elementi cardine della terapia farmacologica come gli ACEi/ARBs, i betabloccanti, gli anti-aldosteronici fino ad arrivare all’ivabradina, al più recente sacubitril/valsartan, toccando anche approcci non farmacologici come la terapia di resincronizzazione cardiaca e il trattamento dell’insufficienza mitralica secondaria mediante mitraclip, che nei pazienti con i criteri dello studio COAPT ha dimostrato di ridurre il tasso di ospedalizzazione per riacutizzazione di scompenso cardiaco. Un accenno è stato anche fatto al paziente con scompenso cardiaco avanzato, dove entrano in gioco altre indicazioni come l’impianto di un dispositivo di assistenza meccanica (sia come brigde che come destination therapy), la candidatura al trapianto fino al trattamento ambulatoriale intermittente con inotropi e alle cure palliative. Ci si è poi soffermati maggiormente sull’approccio farmacologico nel paziente con HFrEF in classe NYHA non ancora avanzata, considerato tante volte “stabile” nei nostri ambulatori ed erroneamente interpretato come a basso rischio di eventi, tuttavia proprio questi pazienti stabili, costituiscono il “reservoir” dei pazienti instabili di domani. Pertanto è molto importante riuscire a vincere la nostra inerzia terapeutica, non accontentandoci di migliorare i sintomi del paziente, bensì contribuendo a modificare significativamente la sua prognosi, non negandogli le terapie più efficaci, anche se costose.

Il Dott. M. Senni ha poi affrontato il tema dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata (HFpEF), partendo, in modo molto elegante, da un approccio pratico al paziente che prevede innanzitutto una corretta gestione dei singoli fattori di rischio cardiovascolare come l’ipertensione, il diabete, l’ipecolesterolemia, così come la ricerca e il trattamento di condizioni prognosticamente sfavorevoli come la fibrillazione atriale e altre comorbilità associate come l’obesità, l’OSAS, l’IRC. Utile è anche in questi pazienti ricercare e trattare i segni dell’ipervolemia, cercando di tendere all’euvolemia. Riguardo il trattamento farmacologico specifico per questa tipologia di scompenso, purtroppo le evidenze scientifiche a supporto sono ancora molto scarse, ci sono tuttavia dati favorevoli sul candesartan e sullo spironolattone nelle forme mid-range (HFmrEF) in termini di riduzione del tasso di ospedalizzazione per scompenso.

Risultati molto promettenti provengono dal trial DECLARE-TIMI 58, in cui il trattamento con dapagliflozin nei pazienti diabetici con una FE >45% ha ridotto le ospedalizzazioni per HF. Ulteriori dati verranno forniti da trial on going sull’utilizzo rispettivamente di empagliflozin e di dapagliflozin in pazienti specificatamente con HFpEF. È anche noto inoltre, come nei pazienti con HFpEF sia più frequente riscontrare una carenza marziale, pertanto è verosimile che potremo avere un effetto positivo in questi pazienti anche tramite la correzione del deficit di ferro.

Nel PARAGON-HF anche se il trattamento con sacubitril/valsartan non ha raggiunto la significatività statistica per l’endpoint primario, l’analisi pre-specificata dei sottogruppi mostra un risultato significativo nel sesso femminile e nel gruppo con FE inferiore al 57% per quanto riguarda la riduzione della mortalità cardiovascolare e le ospedalizzazioni. In futuro è molto probabile che la terapia in questi pazienti venga dettata da un approccio fenotipico, di tipo sartoriale, basato sui complessi meccanismi fisiopatologici che stanno alla base dell’elevata eterogeneità fenotipica di questi pazienti.

Grazie al Dott. S. Themistoclakis si sono poi ripercorse le principali tappe della storia e dei successi del defibrillatore impiantabile nella prevenzione della morte cardiaca improvvisa e della terapia di resincronizzazione cardiaca fino ad arrivare alle attuali indicazioni delle linee guide riguardo tali trattamenti. A differenza del passato, dove si riteneva che si avvantaggiassero maggiormente dell’ICD i pazienti più giovani e meno compromessi, l’analisi sistematica della letteratura ha recentemente mostrato un beneficio, in termini di sopravvivenza e di mortalità per tutte le cause, anche nei pazienti più anziani e con più comorbilità, a patto che abbiano sempre un’aspettativa di vita superiore ad un anno.

Il Dott. G.P. Perna ha focalizzato il suo intervento su quella che, indubbiamente rappresenta la maggiore novità riguardo la terapia dello scompenso cardiaco, cioè l’utilizzo degli inibitori del co-trasportatore SGLT2, farmaci che, nati inizialmente come anti-diabetici, in seguito ai primi risultati dell’EMPAREG-OUTCOME nel 2015 dove hanno dimostrato una riduzione di ben il 34% dell’endpoint composito di morte cardiovascolare e di ricoveri per scompenso, sono diventati i protagonisti di numerosi successivi studi, molti anche on going, grazie ai quali si appresteranno molto presto a divenire uno dei principali capisaldi della terapia dello scompenso cardiaco, capaci di integrarsi molto bene con le altre terapie già consolidate.

Questi farmaci agiscono principalmente comportandosi come diuretici osmotici, determinando un effetto glicosurico a causa della riduzione della soglia plasmatica renale per il glucosio, correlata all’inibizione del co-trasportatore sodio-glucosio (SGLT2) presente nel tubulo contorto prossimale. Le conseguenze emodinamiche, vascolari, metaboliche, cardiache e renali, correlate anche ad altri meccanismi non ancora perfettamente chiariti, sono estremamente più importanti e favorevoli del semplice effetto ipoglicemizzante per cui questi farmaci sono stati inizialmente testati.

Nello studio DAPA-HF infatti, il dapagliflozin si è associato ad una riduzione statisticamente significativa dell’endpoint composito di ospedalizzazione e morte cardiovascolare in una popolazione di pazienti affetti da HFrEF a prescindere dalla coesistenza o meno di diabete mellito e indipendentemente dalla dose di diuretico praticata.

Rispettando il leitmotiv predominante di tutto il congresso, l’ultima relazione è stata dedicata alle difficoltà nella gestione dello scompenso cardiaco nel sesso femminile ed affidata alla Dott.ssa N. Aspromonte, la quale, partendo da dati epidemiologici, ha cercato di spiegare le cause alla base delle differenze di genere, dando peculiare importanza all’epigenetica, cioè alle modificazioni fenotipiche in risposta all’interazione tra DNA e fattori esterni (ambientali, nutrizionali, ormonali etc..). Di recente ad esempio, è stato dimostrato come gli ormoni sessuali riescano ad influenzare moltissimi processi della cellula miocardica, la risposta infiammatoria e le vie del rimodellamento fibrotico. Pertanto quando si parla di scompenso cardiaco nella donna, probabilmente ci si trova difronte ad un’altra variante fenotipica rispetto a quella maschile, ciò potrebbe ad esempio spiegare la migliore risposta nella donna della terapia di resincronizzazione cardiaca, oppure il peculiare beneficio della terapia con sacubitril/valsartan riscontrato nel sottogruppo femminile del PARAGON-HF.

Un altro problema alla base delle difficoltà nella cura delle donne con scompenso cardiaco riguarda la scarsissima rappresentazione femminile nei vari trial di intervento, in pochissimi dei quali troviamo un’analisi peculiare relativa alle differenze di genere. Vi è quindi la necessità di disegnare trial ad hoc che tengano conto di questi presupposti epidemiologici e epigenetici.

 

Danilo Puccio