Choosing Wisely in cardiologia ovvero quali esami-interventi possono essere programmati o eseguiti in cardiologia per migliorare l’appropriatezza.

Annamaria Iorio

Less is more!

Se qualche tempo fa il problema da risolvere era la mancata diagnosi, oggi lo scenario cambia! Siamo di fronte ad un esplosione di “diagnosi” e terapia, che spesso non si traduce in beneficio netto, ma anzi talvolta il “far troppo” complica spesso il percorso del nostro paziente. In tale scenario darsi delle regole per evitare “eccesso” diventa doveroso! Ma qual è attualmente la dimensione del problema? Purtroppo ancora elevata come si leggeva dai dati mostrati dal Dott. Fabio Chirillo per quanto riguarda le metodiche di imaging, nonostante l’impegno nella sensibilizzazione dell’appropriatezza che le Società Scientifiche hanno mostrato negli ultimi anni. Ma quali sono le ragioni di inappropriatezza prescrittiva? Troppe variabili nelle singole realtà! Ma cosa possiamo fare per ridurla? Il Dott. Chirillo a tal proposito sottolineava la necessità, oltre del fondamentale ruolo di una maggiore sensibilizzazione da parte delle Società Scientifiche, anche di una maggiore necessità di formazione del personale medico in tal senso. E come non affrontare in un paese come il nostro l’appropriatezza in termini diagnostici e terapeutici negli anziani? Pazienti questi che – diversi per caratteristiche cardiovascolari e burden di comorbidità non cardiovascolari – sono di certo la popolazione su cui le scelte dovrebbero essere al meglio ponderate, riflettendo su quali possano essere le reali azioni che si traduco in un beneficio, non solo in termini di sopravvivenza ma anche in termini di qualità di vita. Inizia questo excursus il Dott. Federico Conrotto approfondendo il tema della difficile valutazione della rivascolarizzazione nella sindrome coronarica acuta, ricordando quanto spesso essa possa rappresentare solo un epifenomeno di una più complessa situazione di instabilità e morbosità. Si sottolineava anche come nei pazienti anziani la scelta di approccio andrebbe fatta non solo pensando al beneficio “immediato”, ma anche pensando alle ripercussioni che spesso non sono facilmente gestibili. In questa bilancia non poteva non ricordare il rischio/beneficio trombotico-emoraggico legato alla terapia farmacologica e il rischio di insufficienza renale legato alle procedure interventistiche. A tal proposito venivano ripresi dati che dimostravano come il nostro intervento cardiologico “aggressivo”, non impattasse in anziani ad elevato grado di morbosità non cardiovascolare. I messaggi lanciati dal Dott. Fabio Chirillo sono stati successivamente ripresi dal Dott. Corrado Dell’Ali con una interessante relazione che affrontava il problema dell’impiego dei farmaci in prevenzione secondaria. Come conseguenza dell’attuale e futuro scenario epidemiologico, la prevenzione secondaria sarà infatti inevitabilmente rivolta a pazienti anziani, caratterizzati da una malattia con più complicanze, maggiore comorbilità, deficit funzionali e cognitivi, disturbi emozionali o isolamento sociale. Ribadisce, inoltre, come la prevenzione secondaria, nel paziente anziano in effetti dovrebbe basarsi su interventi farmacologici e non, capaci di ridurre il rischio di nuovi eventi e di progressione della malattia, ed essere finalizzata non solo ad un miglioramento della prognosi ma anche di qualità della vita. Quindi fare di meno per far meglio, riflettendo sul reale impatto e sul rapporto costo-beneficio!