Il lato oscuro del prolasso valvolare mitralico: il rischio aritmico, una sfida aperta

di Antonella Spinelli

Il Dr. Sabino Iliceto, Professore ordinario dell’Università di Padova, ci ha parlato oggi del prolasso valvolare mitralico (MVP), una patologia molto eterogenea, tutt’altro che benigna come si evince dagli ultimi dati in letteratura. La prevalenza è stimata tra il 2 ed il 3% della popolazione ed il rischio di morte cardiaca improvvisa (SCD) è stato calcolato tra lo 0.2% e lo 0.4% per anno. Tale rischio può aumentare fino a circa tre volte rispetto a quello della popolazione generale se sono presenti specifiche anomalie dell’apparato valvolare mitralico. Chi sono dunque i pazienti a rischio di aritmie maligne e di morte cardiaca improvvisa? Ce lo ha spiegato il Prof. Iliceto con la “Padua Hypothesis”, una serie di anomalie che inducono stress miocardico e di conseguenza la formazione di fibrosi che rappresenta l’elemento chiave della potenziale aritmogenicità. Tali anomalie includono un’anomala disgiunzione anulare mitralica, definita come la distanza tra la sommità della parete posteriore del ventricolo sinistro e la giunzione atriale sinistra valutata in corrispondenza del prolasso, il “curling” definito come una disfunzione contrattile regionale ventricolare sinistra, l’abnorme trazione meccanica dei lembi valvolari responsabili del reperto auscultatorio del “click” e la degenerazione mixomatosa dell’apparato valvolare. Tutto questo determina la formazione di fibrosi regionale, prevalentemente descritta a livello del muscolo papillare e della regione postero-laterale basale. La risonanza magnetica cardiaca ha un ruolo chiave nella caratterizzazione del substrato, che rappresenta il maggiore rischio di aritmogenicità, sebbene sia stato dimostrato in una minoranza di casi, un potenziale rischio aritmico anche in assenza di fibrosi.

Quale trattamento? L’ablazione è un trattamento di seconda linea; l’impiego di defibrillatori impiantabili è da riservare, in prevenzione secondaria, solo ai pazienti con evidenza documentata di tachicardie ventricolari sostenute o di fibrillazione ventricolare. In alcune casistiche, la correzione chirurgica del prolasso, indipendentemente dalla presenza di rigurgito valvolare importante, è stata efficace nel ridurre il burden di aritmie ventricolari nei pazienti refrattari alla terapia, ma sono necessari ulteriori studi per definire il significato prognostico della fibrosi e dunque la strategia terapeutica migliore da adottare.

Antonella Spinelli ANMCO
Antonella Spinelli