La durata della terapia antiaggregante nel paziente con malattia coronarica: ridurre o prolungare?

Annachiara Aldrovandi

Il Congresso Nazionale dell’ANMCO è stato momento privilegiato per la presentazione del nuovo documento di consenso intersocietario promosso dall’ANMCO, chairmain il Dott. Michele Massimo Gulizia, su “la terapia antiaggregante a lungo termine nel paziente con malattia coronarica”. Se da una parte la disponibilità di stent di ultima generazione con ridotto rischio trombotico e la maggior consapevolezza del rischio emorragico della terapia antiaggregante può indurre ad una riduzione della durata della duplice terapia, d’altro canto è noto che il proseguimento anche oltre i 12 mesi riduce gli eventi trombotici a lungo a termine. Da questi presupposti nasce l’esigenza di un documento di consenso per chiarire le aree di incertezza e guidare nella pratica clinica la scelta della durata della terapia. Nella prima sessione in cui si sono susseguite le relazioni del Dott. R. Caporale, del Dott. A. Panno, Dott. F. Varbella e del Dott. A. La Manna sono state delineate le caratteristiche dei pazienti che traggono maggior beneficio dal prolungamento della duplice terapia oltre i 12 mesi, soprattutto alla luce dei dati dello studio Pegasus TIMI 54, e sono state approfondite le problematiche legate all’aderenza terapeutica e allo switch tra antiaggreganti. In particolare è stata sottolineata la necessità di identificare per ciascun paziente il rischio emorragico, anche tramite score quali il PRECISE DAPT, ed il rischio trombotico sia clinico che anatomico e procedurale. La scelta terapeutica deriva dal bilancio di queste variabili, orientando verso la riduzione della durata della terapia a 3-6 mesi nei pazienti ad elevato rischio emorragico o viceversa verso il prolungamento oltre i 12 mesi nei pazienti con basso rischio emorragico e prevalente rischio trombotico. Nella seconda sessione i relatori Dott. R. Pedretti, Dott. C. Riccio, Dott.ssa R. Rossini e Dott. S. Urbinati hanno approfondito gli aspetti terapeutici in contesti clinici specifici e complessi quali i pazienti trattati con la sola terapia medica, i pazienti fragili anziani e con comorbidità, i pazienti ad elevato rischio emorragico. Un altro argomento controverso è l’associazione tra terapia anticoagulante orale e terapia antiaggregante. È infatti noto dai dati dello studio WOEST l’elevato rischio emorragico associato, per cui le linee guida raccomandano di limitare il periodo di triplice terapia allo stretto necessario, d’altra parte i recenti studi con NAO, suggeriscono la possibilità in pazienti selezionati di intraprendere una terapia di associazione tra anticoagulante ed un solo antiaggregante, con riduzione degli eventi emorragici a parità di eventi trombotici nei pazienti non sottoposti a PCI le linee guida raccomandano l’utilizzo di una duplice terapia antiaggregante, tuttavia gli studi osservazionali quali Eyeshot evidenziano che una percentuale significativa di questi pazienti riceve in realtà un solo antiaggregante.