LO SCOMPENSO CARDIACO E LE CATTIVE COMPAGNIE

Giulia Russo

L’anemia, l’insufficienza renale, la fragilità, la malnutrizione, la sindrome delle apnee notturne ed il diabete spesso accompagnano il nostro paziente con scompenso e ne aggravano la prognosi o rendono più complessi i trattamenti

Il Simposio “Lo scompenso cardiaco e le cattive compagnie” ha presentato le comorbidità che molto spesso accompagnano il paziente affetto da scompenso cardiaco e che vanno a peggiorare la prognosi. L’anemia, descritta nella relazione del Dott. Gennaro Cice, è una condizione clinica che va sicuramente corretta quando l’Hb scende sotto i 10 mg/dl, gli studi clinici condotti però hanno come end-point primario il miglioramento della qualità della vita, della tolleranza allo sforzo misurata con il picco di VO2 al test cardiopolmonare, ma sembra non impattare realmente sulla prognosi. É ovvio che togliere l’astenia o il sintomo dispnea ad un paziente con scompenso cardiaco cronico, non significherà salvargli la vita, ma il solo migliorare la qualità di vita percepita vuol dire tanto. Al contrario l’insufficienza renale cronica correla molto con la prognosi. È importante nel trattamento sia dell’acuto che del cronico utilizzare tutti i diuretici a disposizione (se ionemia e funzionalità renale lo consentano) perché l’utilizzo solamente dei diuretici dell’ansa determina un circolo vizioso e una stimolazione del sistema renina-angiotensina con un ulteriore aumento della ritenzione salina in un paziente già fortemente congesto. Quindi senza paura, aggiungere o i tiazidici nel paziente ambulatoriale, il metolazone o acetazolamide in acuto, monitorando la sodiemia. Se invece il paziente va in blocco renale meglio utilizzare la CVVH (continous veno-venous hemofiltration) che corregge bene sia l’acidosi che l’iposodiemia. La Dott.ssa Donatella Del Sindaco ha posto l’accento in maniera chiara sulla condizione di fragilità, argomento in passato solo in mano ai Colleghi Geriatri, oggigiorno problema emergente che forse impatta più delle comorbidità. Bello è stato l’esempio della fragilità con la vignetta del gatto e la volpe: due cattive compagnie rappresentanti sia le comorbidità (il gatto) che la fragilità e la malnutrizione (la volpe) che attanagliano il nostro povero paziente e che ne impattano la prognosi. La valutazione della fragilità è fattibile in un ambulatorio di scompenso cardiaco, anche semplice da eseguire per personale non medico. La batteria di valutazione è rappresentata dal test del cammino, dal test dell’equilibrio e dal test della sedia; il test del cammino si è dimostrato predittivo di mortalità e ricoveri per riacutizzazione ad un anno nei pazienti con scompenso cardiaco. La fragilità va anche a braccetto con la sarcopenia e con la malnutrizione che è un po’ difficile da caratterizzare: compito del cardiologo è monitorizzare il peso corporeo e la massa magra; la somministrazione del MNA (mini-nutritional assessment) può essere utile nell’identificare quei pazienti che necessitano di una valutazione nutrizionale. Continuando con l’analisi delle cattive compagnie il Dott. Oreste Febo ha illustrato il ruolo della sindrome delle apnee notturne nello scompenso cardiaco, infatti la prevalenza non è piccola né nei pazienti con scompenso a funzione sistolica ridotta che conservata. Le conseguenze sono sia meccaniche e di tipo ventilatorio che comportamentali andando a peggiorare anche la qualità di vita del nostro paziente. Tra l’altro, il trattamento con C-PAP migliora notevolmente la prognosi rispetto al non-trattamento nei pazienti con apnee ostruttive non centrali. I pazienti con apnee centrali sembrano poter beneficiare della Adaptive Servo Ventilation (AVS), anche se attualmente con ancora qualche riserva. Infine, non meno importante il diabete, presentato dal Dott. Antonio Palermo con i due fenotipi di cardiomiopatia diabetica (uno dilatativo ed uno restrittivo), stressando l’interazione tra i farmaci comunemente utilizzati in campo di scompenso (per esempio da evitare l’aliskiren che ha dimostrato un peggioramento della prognosi, mentre al contrario gli anti-aldosteronici sembrano andare meglio). Anche l’utilizzo di alcuni farmaci ipoglicemizzanti è controindicato in caso di scompenso cardiaco come per esempio le sulfaniluree e i tiazolidinedioni. È stato sottolineato in maniera corretta che lo scompenso cardiaco non è solitamente negli studi un end-point primario. Il simposio ha dato una panoramica utile al cardiologo clinico sul come riconoscere le “cattive compagnie” e sul come trattarle.