Minimaster sull’insufficienza cardiaca

di Martina Milani
Il trattamento non farmacologico: ventilazione non invasiva, terapia inotropa ed elettrica, correzione percutanea dell’insufficienza mitralica, terapie non convenzionali dell’insufficienza cardiaca avanzata.

La prima giornata dei lavori del 52° Congresso ANMCO si è aperta con l’atteso Minimaster sull’Insufficienza cardiaca.

 

La parte iniziale della sessione, moderata dai dottori Giuseppe Leonardi e Domenico Marchese, ha visto come primo relatore il dottor Marco Marini che si è occupato di ventilazione non invasiva (NIV). L’applicazione di pressione positiva nelle vie aeree, aumentando la pressione pleurica, sortisce effetti emodinamici favorevoli e, attraverso il reclutamento alveolare, migliora gli scambi gassosi. L’indicazione è lo scompenso acuto con congestione polmonare, non necessariamente il franco edema polmonare.

La scelta tra le due metodiche di NIV (CPAP e BiPAP) si basa su segni clinici di distress respiratorio, ipercapnia e acidosi: se presenti, la BiPAP è da preferire poiché supporta il paziente fornendo anche una pressione di inspiratoria positiva, dunque coadiuva la muscolatura accessoria prossima all’esaurimento.

Affinchè la ventilazione non invasiva possa essere efficace, è indispensabile che venga somministrata precocemente. Inoltre deve essere ottenuta un’adeguata compliance da parte del paziente utilizzando interfacce ottimali (il casco è la più tollerata) e avvalendosi di sedativi, tra i quali la Dexmedetomidina ha mostrato particolare efficacia. Anche l’accurato controllo del circuito e la rivalutazione stretta del malato sono fondamentali.

Da tenere presente l’eventuale disfunzione ventricolare destra, isolata o associata alla sinistra, in quanto la riduzione del ritorno venoso e l’incremento del post carico ventricolare destro, causati dalla pressione positiva, la possono aggravare.

 

Il dottor Piero Gentile si è invece dedicato al trattamento con inotropi e vasopressori, che trova indicazione nel paziente Cold (Dry o Wet), secondo la dicitura delle linee guida ESC 2016. Esso è stato tradizionalmente ritenuto peggiorativo della prognosi, tuttavia gli studi al riguardo sono datati, eterogenei e poco robusti (nelle linee guida la classe di raccomandazione è IIb con livello di evidenza C!); e contemporaneamente recenti esperienze (come lo studio AltShock) hanno mostrato che gli inotropi sarebbero dannosi solo se utilizzati in modo inappropriato: sarebbe ottimale una combinazione di diversi principi attivi al minor dosaggio possibile, associati eventualmente a sistemi di assistenza meccanica temporanea al circolo, dopo una tempestiva e attenta valutazione clinica, emodinamica e biochimica (lattati, saturazione venosa di ossigeno).

 

Sempre più ampie, grazie all’innovazione tecnologica, le possibilità di correggere per via percutanea un’insufficienza mitralica severa, nel paziente con insufficienza cardiaca ad alto rischio chirurgico. Il dottor Pulignano ha sottolineato come i benefici maggiori del trattamento si ritrovino nell’insufficienza mitralica funzionale la cui entità è sproporzionata rispetto a quanto le caratteristiche del ventricolo farebbero sospettare. Una volta identificato un vizio significativo, è fondamentale riferire il paziente ad un centro esperto, per la conferma dell’entità e l’identificazione del meccanismo di rigurgito con imaging transtoracico e transesofageo. Deve poi essere discussa in Heart team la l’indicazione e la fattibilità tecnica dell’intervento, che deve essere rivolto a pazienti sintomatici, nonostante terapia medica ottimizzata, con FE tra 20 e 50%, diametro telesistolico del ventricolo sinistro inferiore a 70 mm, e pressione arteriosa polmonare inferiore a 70 mmHg.

 

A seguire, il dottor Pignalberi si è occupato della terapia elettrica dell’insufficienza cardiaca, evidenziandone da un lato le criticità: è proponibile ad una piccola parte della popolazione con insufficienza cardiaca e nel 30-40% dei casi i pazienti sono non responder per mancata stimolazione dal sito target (dovuta all’anatomia del sistema venoso e all’inappropriato posizionamento del catetere sinistro), per scorretta programmazione del device (sarebbe utile utilizzare algoritmi di ottimizzazione continui e automatici come AdaptivCRT e SonR), e per inadeguata selezione del paziente. Dall’altro il relatore ha mostrato le più recenti innovazioni in questo ambito, come la stimolazione endocardica senza fili, la stimolazione diretta del fascio di His e, la più interessante, la Cardiac Contractility Modulation, un sistema che eroga un’onda bifasica a voltaggio relativamente elevato e durata prolungata, nel periodo refrattario assoluto. La CCM trova indicazione nei pazienti con FE tra 25% e 45%, con QRS di durata inferiore a 130 ms ed è stato proposto anche nei non responders alla CRT. Il meccanismo d’azione è molecolare, attraverso la normalizzazione dell’attività delle proteine regolatorie del calcio dei miocardiociti, si torna a una normale espressione dei geni delle pompe del calcio e, nell’arco di mesi a un rimodellamento inverso. La CCM ha un impatto significativo sulla tolleranza all’esercizio e sulla qualità di vita, con maggiori benefici per FE tra il 35 e 45%.

 

La seconda parte della sessione, moderata dal dottor Cipriani e dalla dottoressa Chinaglia, è stata dedicata all’insufficienza cardiaca avanzata.

Come evidenziato dal dottor Clemenza, per la miglior gestione dei pazienti con advanced heart failure, risulta fondamentale riferirli tempestivamente ad un centro terziario: la prognosi dei pazienti qui gestiti infatti è migliore, indipendentemente dall’accesso a terapie non convenzionali, per la gestione ottimizzata della terapia medica e per la possibilità di accedere a procedure interventistiche (ablazione FA e correzione percutanea dell’insufficeinza mitralica). Per poterli riferire, però, è indispensabile riconoscerli. Compito arduo, dal momento che si tratta di una condizione complessa, come si deduce dalla sua stessa definizione, riportata nel Position Statement ESC del 2018 e sintetizzata nell’acronimo I NEED HELP. Occorre grande attenzione e sensibilità per imparare a cogliere la traiettoria del paziente che lentamente si deteriora o non ottiene il beneficio atteso dalla terapia e per riconoscere il paziente che si complica acutamente per inviarlo nel minor tempo possibile al centro che lo possa gestire.

Condizione necessaria per implementare il referral è lo sviluppo di una solida rete di relazioni tra centri di diverso livello, anche a livello informale, dal momento che non esistono reti istituzionalizzate e in modo biunivoco.

 

La relazione del dottor Cipriani, sulle indicazioni all’assistenza meccanica al circolo, solleva nel suo incipit il problema del ridotto numero di impianti di LVAD in Italia, per di più in calo negli ultimi anni e con estrema disomogeneità territoriale, e si interroga sulle motivazioni.

Le linee guida ESC del 2016 sono piuttosto sintetiche nell’elencare quali sono i pazienti elegibili ad assistenza ventricolare sinistra.

L’obiettivo deve essere quello di migliorare la qualità di vita, riducendo i sintomi e le ospedalizzazioni, rallentare l’evoluzione verso il danno d’organo e ridurre il rischio di morte in attesa di trapianto.  Nei pazienti che impiantano LVAD come strategia Destination therapy, si pone la questione di evitare gli interventi futili: possono beneficiarne quei pazienti la cui fragilità è giustificata dall’insufficienza cardiaca.

Non esiste un cut off d’età rigido (non essendo l’età da sola a determinare l’outcome). Elementi da tenere in considerazione sono la presenza di insufficienza renale, valutata in condizioni emodinamiche stabili (eGFR inferiore a 60, urea superiore a 60 sono condizioni di rischio, secondo la regola del 60), la disfunzione epatica valutata con indicatori mutuati dall’epatologia (MELD e MELD-XI), un BMI troppo basso (indice di cachessia) o troppo alto, i valori di albumina e emoglobina. Particolare attenzione merita la disfunzione ventricolare destra, marker di una malattia “metastatica”, troppo avanzata: se presente controindica l’impianto di LVAD. E’ anche opportuno cercare di prevedere la capacità del ventricolo destro di far fronte all’aumentato ritorno venoso dopo impianto di assistenza (possono essere utili dati ecocardiografici – come lo strain del ventricolo destro, la riserva contrattile valutata con eco-dobutamina – e l’indice emodinamico PAPi).

 

Il concetto di fragilità viene ripreso dal dottor Palmieri, che si occupa di come identificare i pazienti con insufficienza cardiaca end stage nei quali procedure avanzate risulterebbero futili poichè non modificherebbero la prognosi. La sarcopenia è un marker che consente di identificarli; essa è causa ed effetto di malnutrizione, disidratazione e ridotta attività fisica e conduce alla perdita dell’autonomia funzionale. Indici di sarcopenia e indirettamente di fragilità sono l’Handgrip e il Gait speed. Nei pazienti cronici ambulatoriali, sarebbe utile identificare la quota riuovibile di fragilità e ridurla o prevenirla con cicli di riabilitazione pre-procedura.

Il paziente in shock è fragile per definizione, dunque appare più complessa la valutazione; predittori sfavorevoli in caso di procedure avanzate sono insufficienza renale, oligoanuria, insufficienza epatica e ascite, BPCO

 

Infine, il Minimaster si è concluso con l’esaustiva presentazione della dottoressa Righini sulla gestione del paziente portatore di LVAD e sulle possibili complicanze legate all’assistenza ventricolare.

Con l’introduzione di dispositivi a flusso continuo è stato possibile di migliorare gli outcome a breve-medio termine, con sopravvivenza dell’80% a 1 anno.

Le complicanze si distinguono in LVAD-specifiche (eventi di suzione, trombosi di pompa, disfunzione di pompa o danno della drive line), e LVAD-associate (sanguinamento dovuto alla terapia anticoagulante, patologia cerebrovascolare con prevalenza dell’ictus ischemico sull’emorragico, infezione, disfunzione ventricolare destra, aritmie e insufficienza aortica).

Si possono registrare allarmi di flusso, spesso dovuti a eventi di suzione della cannula di inflow nel ventricolo sinistro e correlati a differenti eziologie come ipovolemia, disfunzione ventricolare destra, tamponamento cardiaco, impostazioni della velocità della pompa.

Le aritmie sono molto frequenti e possono essere conseguenti alla patologia cardiaca di base o associate a LVAD e possono comprometterne il funzionamento della pompa.

Dal punto di vista clinico risulta molto importante la misurazione della pressione nel paziente con LVAD (la sistolica con lo sfigmomanometro, se il polso è palpabile, o pressione arteriosa media con sonda dedicata) e la gestione sia dell’ipertensione arteriosa (fattore di rischio per trombosi di pompa) sia dell’ipotensione (che può essere dovuta a sanguinamento, ipovolemia, disfunzione ventricolare destra o a vasodilatazione in caso di sepsi). Anche l’individuazione di segni di disfunzione ventricolare destra è fondamentale.

Martina Milani ANMCO
Martina Milani
immagine di copertina: wayhomestudio