Fibrillazione Atriale ed Elevato Rischio Emorragico – Dall’importanza della scelta degli anticoagulanti alla chiusura dell’auricola

Ilaria Bassi

La fibrillazione atriale (FA) Interessa il 2% della popolazione Italiana, è associata a un aumentato (5 volte, rispetto alla popolazione generale) del rischio di ictus ischemico (stroke) ed è la più comune causa evitabile di ictus. Gli stroke correlati alla FA tendono a essere più invalidanti, con tassi di recidiva e mortalità più elevati.

Gli anticoagulanti diretti (NAO) negli ultimi anni sono diventati la prima scelta terapeutica nella profilassi del tromboembolismo nei pazienti affetti fa FA non valvolare, avendo ormai superato gli antagonisti della vitamina K (VKA) grazie al loro maggiore profilo di sicurezza in termini di riduzione del rischio di sanguinamento.

E per quanto riguarda quel sottogruppo di pazienti che hanno non solo elevato rischio trombotico ma anche elevato rischio emorragico?

A parlarci di tale argomento sono stati il Dott. Caporale, Cosenza, ed il Dott. Piva, Ancona, i quali hanno approfondito il tema della scelta terapeutica per i pazienti con FA ed elevato rischio emorragico mettendo a confronto antiaggreganti, NAO, TAO e chiusura percutanea dell’auricola sinistra.

Come riportato dalle ultime linee guida internazionali europee il trattamento con NAO possiede un grado di evidenza = Ia, mentre la chiusura percutanea dell’ auricola sinistra ha un indicazione con grado di evidenza inferiore (IIb), questo anche alla luce del fatto che essa viene considerata come opzione di trattamento per un sottogruppo numericamente limitato di pazienti affetti da FA con anamnesi di emorragia maggiore e per i quali si ha una controindicazione alla terapia anticoagulante.

Ad oggi in letteratura i dati di confronto tra terapia anticoagulante e trattamento percutaneo sono limitati e riportano di fatto un confronto tra chiusura percutanea dell’auricola e VKA, classe di farmaci che sta andando progressivamente in disuso. Inoltre c’è da considerare che i paziente sottoposti ad impianto di device per la chiusura dell’auricola vengono trattati con una terapia antitrombotica (antiaggregante e/o anticoagulante) per un periodo variabile dai 6 mesi in su; elemento che fa riflettere, alla luce dell’indicazione clinica a tale procedura interventistica.

I relatori hanno citato i dati recentemente pubblicati dall’unico trial (Prague-17) condotto su circa 400 pazienti dove sono stati messi a confronto efficacy and safety tra terapia con NAO (Apixaban nel 95% dei casi) e chiusura percutanea dell’auricola sinistra seguita da DAPT di 3 mesi e successiva teapia con sola aspirina: ad un follow-up di 30 mesi non esistono differenze significative tra le due opzioni terapeutiche. Certo il numero di pazienti è limitato, pertanto non è possibile dareuna indicazione su quale possa essere la strategia di trattamento migliore.

Non dobbiamo dimenticare che la chiusura percutanea di auricola è un intervento invasivo che presenta complicanze procedurali che possono andare dal tamponamento cardiaco alla trombosi device-correlata, alla presenza di leak para-protesici residui, considerando però che tali eventi potranno essere progressivamente ridotti in futuro grazie al miglioramento delle skills procedurali. Questo,  in aggiunta ad ulteriori dati maggiori di confronto tra NAO e chiusura dell’auricola, potrà forse far pendere l’ago della bilancia sulla scelta terapeutica più indicata nei paziente con FA ed elevato rischio emorragico a favore dell’intervento di occlusione dell’auricola sinistra.

 

Ilaria Bassi