Simposio Congiunto ANMCO/ISS sulle abitudini alimentari degli italiani. Mangiare meno, mangiare meglio.

Matteo Baroni

L’ultima sessione del Congresso Nazionale ANMCO 2015 affronta un tema che avvicina cardiologia, epidemiologia e buona cucina: la prevenzione cardiovascolare attraverso le abitudini alimentari. La discussione è aperta da un partner d’eccezione, l’Istituto Superiore di Sanità e si svolge in un luogo simbolo, per quest’anno, dell’alimentazione mondiale: il Centro Congressi Expo. In questa particolare sede, i lavori si aprono pertanto con la presentazione ufficiale dell’Atlante della salute cardiovascolare degli italiani, promosso dall’ANMCO e destinato ad essere un punto di riferimento per gli anni a venire. Ma come si alimentano gli italiani? Siamo abituati a pensare che la dieta mediterranea sia la colonna portante della nostra cucina, ma ciò non è del tutto vero. Lo studio EPIC, infatti, ha analizzato le abitudini alimentari degli italiani, su un campione di oltre 60.000 soggetti seguiti a partire dagli anni novanta. In base ai questionari raccolti è stato poi sviluppato uno score per descrivere l’aderenza della popolazione alla dieta mediterranea. Tale score, si è dimostrato un efficace predittore di vita libera da eventi cardiovascolari, più potente addirittura dei singoli livelli di colesterolo o di acidi grassi saturi nella dieta. Dall’ampia survey è però emerso che solo il 20% circa della popolazione generale segue regolarmente la dieta mediterranea, mentre oltre il 40% la applica poco o per nulla e quindi non si può considerare sufficientemente protetta dalla dieta. Inoltre, gli italiani assumono quotidianamente ancora troppo sale, mediamente il doppio delle quantità massime raccomandate. Peraltro, tali osservazioni risultano trasversali su tutte le regioni, senza una significativa variazione fra nord, centro e sud Italia. Interessante invece la sottoanalisi che ha evidenziato come un livello socioculturale maggiore (analizzato attraverso il surrogato del livello di studi) sembri essere un indicatore di migliori abitudini alimentari e di più bassi valori pressori di base, oltre che di maggiore efficacia della terapia anti-ipertensiva, quando necessaria. Un’altra brillante intuizione è stata quella di osservare se e come variano le abitudini alimentari dopo una diagnosi di ipertensione, diabete e dislipidemia. In quest’ottica, la popolazione ipertesa sembra essere la meno propensa a correggere il proprio stile di vita, mentre mediamente chi si scopre affetto da diabete e dislipidemia tende a moderare il consumo degli alimenti ricchi di zuccheri e grassi saturi, senza peraltro raggiungere comunque i livelli raccomandati dalle Linee Guida. La relazione finale è stata preparata a quattro mani con il Professor Jeremiah Stamler, storico cardiologo nutrizionista statunitense, ormai novantacinquenne, considerato uno dei padri del concetto stesso di “fattore di rischio”. Il Professor Stamler suggerisce, anche nel XXI secolo, una dieta simile a quella napoletana degli anni ‘60, riassunta nella frase “pasta di qualsiasi tipo, sempre appena scolata, servita con salsa di pomodoro e una porzione di parmigiano, solo occasionalmente arricchita con qualche pezzettino di carne o pesce. Sempre frutta fresca come dolce”, il tutto da assumere in porzioni ridotte rispetto a quelle dei nostri genitori e nonni, visto il minor fabbisogno calorico della vita sedentaria. In realtà, se si considera che l’indice di massa corporea medio della popolazione italiana è oltre il limite del sovrappeso, c’è ancora molto da fare. D’altra parte è anche vero che l’aspettativa di vita nel Belpaese ha superato ormai la quota degli 80 anni per gli uomini e 85 per le donne, con una crescita media di 3 mesi ogni anno, e si pone ai primi posti nella classifica mondiale. Il simposio si chiude quindi con un messaggio positivo: abbiamo già fatto molto, ma c’è ancora spazio per migliorare!