Update Fibrillazione Atriale: tra vecchie abitudini e nuovi dibattiti

Laura Garatti
L’aritmia più frequente e più nota, non solo ai Cardiologi. Ma sappiamo davvero tutto?

Protagonista del minimaster di ambito aritmologico non poteva che essere la più frequente e più studiata delle aritmie: la fibrillazione atriale. Per quanto noto, il tema ha sempre aspetti nuovi da trattare ed approfondire, e molte sono le domande che il cardiologo, nella sua pratica clinica, si trova ad affrontare ma non osa fare, o per le quali non sempre trova interlocutori in grado di rispondere.
Il tema della relazione del Dottor Pisanò, “le fibrillazioni atriali”, porta con sé una provocazione: tutti i pazienti con fibrillazione atriale devono essere inquadrati e trattati allo stesso modo? La classificazione proposta dalle linee guida utilizza un criterio temporale, che tuttavia presenta diverse limitazioni e non rispecchia la complessità e variabilità dei meccanismi fisiopatologici sottesi a questa aritmia. Benché lavori scientifici recenti abbiano evidenziato una relazione tra l’epoca di insorgenza dell’aritmia ed il rischio tromboembolico, questo è in realtà condizionato dalla complessa interazione tra vari fattori clinici, ambientali e comportamentali. Pertanto, l’approccio al paziente con fibrillazione atriale non può prescindere dalla sua valutazione in un contesto più ampio di quello del solo criterio temporale.
Passando alla terapia, spetta a Carlo Lavalle il compito di farci strada attraverso l’annoso problema del controllo del ritmo o della frequenza. Mediante una chiara sintesi ed un’accurata revisione delle linee guida e delle più recenti evidenze scientifiche, ci ricorda indicazioni e controindicazioni dei farmaci antiaritmici. Particolare interesse è dedicato al concomitante riconoscimento e controllo delle comorbidità legate all’aritmia, quali obesità, ipertensione, diabete, dislipidemia ed abuso alcolico.

Non si può parlare di trattamento della fibrillazione atriale senza dedicare spazio al rischio tromboembolico e all’indicazione a terapia anticoagulante. Il dottor Luca Botto parte dal più noto tra gli score del mondo cardiovascolare, il CHA2DS2-VASc, per analizzarne pregi e limiti e fornire interessanti spunti di riflessione. Il punto centrale della relazione di Botto sta nella complessa fisiopatologia che lega fibrillazione atriale e tromboembolismo: meccanismi che vanno al di là del rapporto causa-effetto, mentre rendono più plausibile che aritmia e cardioembolismo siano due eventi paralleli che hanno alla base una cardiomiopatia atriale. In questo scenario, gli stratificatori che abbiamo a disposizione, basati su soli criteri clinici, risultano ancora fortemente limitativi, e la prospettiva futura potrebbe essere quella di una rivoluzione nelle strategie antitrombotiche.

Non passano di moda gli ormai non più nuovi anticoagulanti orali, riguardo ai quali il dottor Sibilio prova a rispondere alla domanda che ogni cardiologo clinico si pone: quale scegliere? A guidarci dovrebbero essere le differenze nel meccanismo d’azione, nelle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, nelle interazioni tra farmaci, nella disponibilità di antidoto e nell’evidenza di benefici e sicurezza a lungo termine. Particolare attenzione viene dedicata agli studi su particolari popolazioni di pazienti, tra cui quelli affetti da insufficienza renale e coronaropatia.

Il tema del tromboembolismo non interessa solo il cardiologo clinico, ma anche l’ecocardiografista. Frank Dini fa il punto sul ruolo centrale dell’eco transesofageo non solo nella ben nota “fast track” della cardioversione in assenza di terapia anticoagulante prolungata, ma anche nel monitoraggio della persistenza di trombosi atriale in pazienti in terapia anticoagulante, un evento più frequente dell’atteso come dimostrato da una recente ampia casistica italiana.

A chiudere la sessione è Roberto Mantovan con una relazione sulla più recente ed accattivante tra le terapie della fibrillazione atriale: l’ablazione transcatetere. Questa metodica si è dimostrata da tempo il trattamento più efficace per il mantenimento del ritmo sinusale, con elevate percentuali di successo nella riduzione del burden aritmico e nel miglioramento della qualità di vita a fronte di un buon profilo di sicurezza. Studi più recenti ne hanno confermato i benefici clinici a lungo termine anche su mortalità e morbidità, specie nei pazienti giovani e con scompenso cardiaco.

 

Laura Garatti